Tra i piatti indicati dalla tradizione potranno anche mancare i crostini bianconeri, sostituiti con quelli di pasta d’acciughe, o il cappone ripieno dal tacchino arrosto, il pollo in galantina rimpiazzato da una schiodonata di tordi e lombo, ma quello che in un pranzo di Natale a Siena non può essere in nessuna maniera sostituito è il Panforte
Tratto da: Giovanni Righi Parenti, La Cucina Toscana
Tradizionalisti come possono esserlo chi organizza da secoli il Palio e chiudeva le porte della città fino a pochi decenni or sono, i Senesi non rinunciano ai loro dolci di Natale. Tra questi si sono il panforte e il panpepato: già nei documenti del XVII secolo si capisce che i nomi, se non i prodotti, sono distinti. In ogni caso si considera che quelli «senesi siano li megliori». Nel 1813 Ugo Foscolo scrive in una lettera di aver ricevuto in dono, da Siena, dei “panforti” da parte della nobildonna Quirina Magiotti Mocenni. Sono prodotti di grande pregio, dovuto alle spezie e al pepe, costosissimi in passato, e sopratutto di pertinenza esclusiva degli spezieri, ovvero i farmacisti, quasi sempre dei monaci. Saranno loro a dosarne l’uso medicamentoso (prevalente) accanto a quello alimentare per secoli, fino all’età moderna. Ci voleva la soppressione degli ordini religiosi, e quindi la chiusura delle “spezierie”, perché Natale Pepi facesse nascere la prima fabbrica, nel 1810. Pepi (nome da predestinato) frate originario di Buti, inizia a operare nella basilica dell’Osservanza, poi diventa responsabile della Spezieria dell’Ospedale di Santa Maria della Scala e, al tempo stesso, un abile preparatore di panforte e panpepato. La svolta anticlericale gli dà una opportunità: acquistare all’asta il corredo della Spezieria dell’Osservanza insieme allo speziale Lodovico Dei. Da lì in avanti, le novità si susseguono. Il primo panforte con il cacao compare nel 1820. La versione bianca che tutti conoscono nasce nel 1879, in occasione della visita della regina Margherita, durante il Palio d’agosto. È un copione già visto: come per la mozzarella sulla pizza si aggiunge un tocco di bianco con lo zucchero a velo al panforte, gli si dà il nome “Margherita” ed è subito un grande successo. Nella versione margherita, sia la pizza che il panforte sono diventati un classico, mentre il panforte e nero rimane il prodotto dei veri conoscitori della tradizione. Una bella scelta tra bianco e nero, in una città che ha i due colori nella bandiera (la Balzana) e nella decorazione della cattedrale. La produzione – altra abitudine consolidata – inizia a settembre, quando è più facile reperire la frutta secca, poi il prodotto viene consumato a Natale perché, secondo una leggenda popolare, durante una Santa notte un pane si trasformò miracolosamente in panforte, a simboleggiare la nascita del Salvatore. Per la verità, ormai i dolci senesi si producono tutto l’anno, tra alti e bassi per le preferenze: i ricciarelli sono molto diffusi, con la loro pasta di mandorle e miele e la variante al cioccolato. Più rari sono i cavallucci (con noci, canditi, spezie e ammoniaca) e le copate (impasto sottilissimo simile a quello del torrone, tonde, con una cialda dall’aspetto di un’ostia trasparente, nei due lati). Le fabbriche nel corso del tempo variate, come la produzione artigiana. Alcune sono sopravvissute, altri marchi sono scomparsi, ne sono arrivati di nuovi. Le pubblicità del panforte e dei ricciarelli Sapori hanno accompagnato generazioni di italiani, creando il mito di questo dolce natalizio, scaldando l’atmosfera del periodo e contribuendo a costruire, nel grande pubblico, il “mito” di Siena.