È la piazza principale di Siena, e la chiamano il Campo. Guardate come può essere bello il vuoto: è la pausa nella musica di queste case. Guardate la forma a conchiglia: è l’ombelico d’Italia, leggermente irregolare
Beppe Severgnini
Il vino è per l’anima ciò che l’acqua è per il corpo
Mario Soldati
Senza piazze non esisterebbero gli italiani, senza vino neppure. L’italiano «scende in piazza» con le storiche bandiere o per manifestare, e «mette in piazza» i suoi problemi. O magari, per liberarsene, fa «piazza pulita». Salvo vantarsi di essere «il migliore della piazza». Nessuna soluzione urbanistica ha questa capacità di funzionare come metafora della vita e, per questo, compare nel linguaggio comune con una grandissima frequenza. E se la piazza è il cuore, il vino è l’anima di una nazione. Da sempre, ha avuto una valenza divina e ha continuato a caricarsi di significati e per questo, più che un alimento, è un aspetto irrinunciabile, in ogni circostanza. «Non ti mettere in cammino se la bocca non sa di vino», recita un proverbio toscano. Il vino fa parte di un rituale che si consuma intorno a una tavola, in famiglia, mentre agli amici si riserva il caffè in piazza.
Bere non è mai un atto individuale, o casuale, e non si lega alla quantità. Raramente ci si ubriaca: il piacere ha un limite, come la bellezza lo ha nelle dimensioni. Tant’è che i controlli sulla guida in stato di ebrezza suonano un po’ strani in Italia: quando mai si beve per perdere il controllo? Forma e sapore, nelle piazze come per il vino, sono invece declinati nelle maniere più incredibili, fino a diventare paradigmi di una storia, di una cucina, sempre diverse. Persino il più piccolo paese, popolato da poche centinaia di abitanti, esprime un capolavoro, un prodotto famoso, e tutto si si ricompone in una cultura, una civiltà locale. Ecco perché il vino e la piazza sono il vero simbolo dell’Italia, che non è mai stata una nazione, piuttosto un insieme di città-Stato. Tant’è che non esiste una cucina regionale o nazionale, ma una cucina delle città. Prendiamo come paradigma Siena: una piazza famosa, con le sue ricette e tradizioni, contornata da campagna altrettanto celebrata e da una produzione vitivinicola nota nel mondo. Ma si tratta solo di una delle “capitali” storiche della Toscana: basta andare a Campofilone, nelle Marche, per trovare i celebri maccheroncini; oppure ad Amatrice, nel Lazio, ecco gli spaghetti all’amatriciana, con il tipico sugo. Ecco, stiamo parlando di due realtà con appena duemila abitanti ciascuna, in tutto il Comune. Basterà spostarsi pochi chilometri da esse e ci saranno cittadine o paesi con altre peculiarità. L’Italia è un microcosmo fatto di opere d’arte e piccole produzioni, che una comunicazione superficiale finisce per ignorare. Venezia o Roma non sono le uniche capitali del gusto e della bellezza, come i marchi di qualità o le denominazioni non possono definire centinaia di produzioni artigianali e stili di vita. Al massimo, si premiano quelle che si sono evolute a una dimensione “industriale”, in un processo di semplificazione che non rappresenta la complessa realtà di un Paese. Camminare in una piazza o bere un bicchiere di vino possono farlo tutti. Condividere amicizie, passioni, feste, in uno spazio urbano o intorno a un tavolo, è un’altra cosa. Non c’è marchio che possa definire i sentimenti.